Considerazioni d’ottobre: divagazioni sulla fotografia

Quando si guarda una fotografia, si stabilisce in modo ovvio e immediato che da qualche parte del mondo quello che è lì riprodotto debba esistere, o debba essere esistito. In questa ‘suggestione’ di realtà possibile sta la forza della fotografia.

Quella che guardiamo non ci sembra infatti un’invenzione di qualcuno (come succede invece con la pittura o il disegno), piuttosto una ‘registrazione’ meccanica e fedele del reale, ottenuta senza che vi sia stato un intervento manuale diretto da parte di chi l’ha ‘scattata’. Quest’ultimo, almeno così crediamo, potrà magari attraverso qualche ‘trucco’ aver deformato, alterato il ‘reale’, ma non può esserselo inventato dal nulla.

Ma come facciamo a stabilire che l’immagine che stiamo osservando è una fotografia? Principalmente in base alla sua ‘analogia’ percettiva con una nostra esperienza ‘diretta’ possibile, valutando cioè in modo intuitivo la sua appropriatezza ‘tonale’ e coerenza ottico geometrica: sarebbe a dire la sua capacità di rimandare a delle qualità tattili e spaziali plausibili, per l’appunto ‘analoghe’ alla nostra esperienza visiva di un ‘reale’ eventuale e/o possibile.

Attenzione: un osservatore dotato di facoltà percettive e mentali normali, si accorgerà ovviamente che quella che ha di fronte non è la realtà, bensì una sua supposta ‘riproduzione’, più o meno fedele che sia.

E’ qui che succede (può succedere) il paradossale prodigio: proprio quando siamo consapevoli che quella che abbiamo di fronte è una fotografia, scatta la trappola. Cadiamo così all’improvviso -mani e piedi- in quella ‘buca illusionistica’ che è stata preparata per noi, e cominciamo ad operare delle congetture su quanto nella fotografia è rappresentato. Attribuiamo –pur se consapevoli della potenziale ‘mendacia’ del mezzo- a quello che stiamo ‘vedendo’ caratteristiche ‘analoghe’ alle cose che fanno parte della nostra esperienza ‘diretta’ del nostro mondo percettivo –spaziale e ‘tattile’- reale.

Non è poi così importante che quelle caratteristiche che si è portati ad attribuire agli ‘oggetti’ rappresentati nella fotografia siano effettivamente corrispondenti al vero (a meno che non ci si trovi in un tribunale), lo è molto di più che l’osservatore ‘creda’ di aver capito, e non debba dunque affaticarsi – magari senza successo- ad identificare quello che è incluso nel ‘campo’ grafico della fotografia.

Le fotografie, infatti, risultano tanto più gradevoli e quindi efficaci quanto più sembrino rispondere facilmente agli interrogativi che l’osservatore naturalmente si pone: chi o cosa c’è nella fotografia? Dove si trova? Cosa sta succedendo? E così via.

Le forme ambigue, di difficile interpretazione, disturbano. L’osservatore ne è infastidito come lo sarebbe chi cercasse di ascoltare una persona che parla in modo poco chiaro, farfugliando frasi sconnesse in mezzo ad un frastuono assordante: è ovvio che dopo un po’ l’attenzione viene meno, e con quella la voglia di fare la fatica necessaria per interpretare quanto viene detto, per quanto interessante potesse sembrare inizialmente.

Le fotografie possono essere considerate trappole illusionistiche: proprio in questa loro caratteristica e potenzialità si trova il loro punto di forza, il cosiddetto ‘specifico’ fotografico.

Una fotografia dovrebbe permettere all’osservatore, una volta guadagnata la sua ‘attenzione’, una sua facile interpretazione ‘formale’, per farlo più utilmente soffermare sul ‘significato’ che quella vorrebbe veicolare, o permettere una migliore ‘trasmissione’ delle informazioni. Oppure, per lo meno, il tempo dedicato all’interpretazione di un’immagine complessa dal punto di vista grafico, dovrebbe prima o poi essere premiato. Dopo una lunga ‘contemplazione’ l’osservatore deve pur ottenere qualche risultato: un’informazione maggiore proporzionata al tempo dedicato? Un’emozione sempre crescente? Un appagamento estetico?

Una ‘buona’ fotografia – cioè che sia armoniosa, pulita e ben strutturata- nella quale tutto ciò che si trova al suo interno trovi una spiegazione e un senso, è più appagante e si tenderà quindi a dedicargli più tempo e attenzione: nei casi più riusciti le immagini fotografiche possono quasi ‘ipnotizzare’ chi le guarda, questi si attarda e non riesce quasi più a staccare lo sguardo che continua a ‘danzare’ eccitato ed incuriosito da una parte all’altra dell’immagine.

Una fotografia ‘bilanciata’, con un certo ordine formale, in virtù anche della sua attraente ‘piacevolezza’, sarà senza dubbio una ‘trappola illusionistica’ nella quale sarà più probabile far cadere l’attenzione dell’osservatore, facendogli dimenticare la sua bidimensionalità, la sua staticità, il suo essere limitata da dei ‘bordi’ o perfino –nel caso- l’assenza del colore.

Per poter costruire delle buone fotografie, ovvero delle trappole illusionistiche efficaci, occorre partire dalla consapevolezza che la fotografia ha un suo proprio linguaggio. Un linguaggio visivo che usa dei codici e delle ‘forme simboliche’ sue proprie. Di questo linguaggio fanno parte, a mio parere, le scelte tecniche fondamentali: tempo di posa, diaframma, messa fuoco ecc. Affinché queste scelte siano effettivamente tali, e non siano degli eventi casuali o determinati -a monte- da criteri altrui, bisogna conoscere e impadronirsi della ‘tecnica’ fotografica, in tutte le sue declinazioni.

Cosa voglio dire? spiegherò meglio la mia posizione più avanti, nel corso della vita di questo Blog, per il momento dirò semplicemente che per me la tecnica è un tutt’uno con l’espressione: la tecnica fotografica è infatti il presupposto indispensabile della fotografia: o ci pensiamo noi o ci dovremo affidare alle scelte della nostra fotocamera, o, come dicevo, a quelle scelte fatte ‘a monte’ da chi l’ha progettata. Oppure, e sarebbe una scelta scellerata, ci potremo accontentare di considerare la pratica fotografica come un gioco d’azzardo –una specie di slot machine- , restando in attesa -spesso lunga o vana- di uno scatto fortunato.

La conoscenza del mezzo tecnico è proposta da me come una fonte di libertà espressiva, una possibilità di emancipazione della propria creatività, e non -come spesso viene intesa da molti ‘artisti fotografi’- un ‘male necessario’, quasi fosse una parte afflittiva e poco divertente della pratica fotografica.

Certo, è meglio essere chiari, per me la tecnica non riguarda solo quelle variabili classiche –tipo: tempo, diaframma, fuoco ecc. – ma include anche, ad esempio, la ‘composizione’, l’inquadratura, la scelta del momento dello scatto, e via discorrendo. Ma, secondo me, persino la scelta stessa di una fotocamera o di un’altra -così come quella di un obiettivo-, ha un influenza determinate sulle nostre fotografie, e dunque sui risultati estetico/espressivi.

Solo avendo presente questo, per così dire, ‘Diagramma di flusso’ otterremo dei buoni risultati: un percorso virtuoso che ci conduca dai buoni propositi agli esiti auspicati.

Non vi stupirete, detto tutto questo, se nel tentare di disegnare questa ‘mappa concettuale’ riguardo alla fotografia troverete nel mio Blog un alternarsi di pagine dedicate a disquisizioni più meno teoriche (come quella che state leggendo), con altre di schede tecniche, fino ad arrivare ai test e alle recensioni di attrezzatura fotografica.

Piano piano, inoltre, andrò inserendo una piccola antologia delle mie fotografie ‘personali’.

A presto! Giacomo


Lascia un commento