distorsioni anamorfiche laterali 2

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Riprese con 12-24 sigma: la foto p è al centro, la foto a all’estremità della proiezione (110° orizzontali complessivi. quindi spostamento di 55° dal centro)

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Qui la foto a è al centro, la foto s ai bordi estremi (110° orizzontali complessivi. quindi spostamento di 55° dal centro)

Perché succede tutto questo? presto lo spiegherò!

(Grazie a Massimo Napoli) a presto, Giacomo

 

Nikkor-S Auto 1 : 2 f=5cm No.564772 (1962) versus Nikkor-H Auto 1 : 2 f=50mm No.790195 (1968)

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Ecco i nostri contendenti. Nikkor-S Auto 1 : 2 f=5cm No.564772 (1962) versus Nikkor-H Auto 1 : 2 f=50mm No.790195 (1968). Sono tutti e due a sei lamelle, come potete vedere qui sotto:

DSC_0007

 

Anche la forma del diaframma sembra identica, così come la dimensione e l’orientamento. Questo ci permetterà di valutare l’effettiva trasmissione di luce al di là della luminosità ‘nominale’ , nonché giudicare la ‘forma’ della sfocatura agli angoli oltre che a tutta apertura (sfocatura indotta, oltreché dalle ‘aberrazioni laterali’, dalla diversa planeità di campo) anche ai vari diaframmi (f/5.6-16). Questa volta il BW è su luce diurna, così si possono fare  considerazioni sulla resa cromatica. La didascalia si riferisce alla foto che gli è sopra.  la fotocamera è sempre la Df, la sensibilità impostata è N-1 rispetto alla nominale 100 iso. L’esposizione è sempre ‘a occhio’, puntando come sempre ad una leggera sottoesposizione, circa 1/2 stop. Le foto sono scattate in Jpeg ‘FINE’ e poi ottimizzate per il WEB alla qualità massima. Aperture impostate, nell’ordine: f/2 – f/5.6 – f/16

ecco qua:

S-2

Nikkor-S f/2

H-2

Nikkor-H f/2

S-5e6

Nikkor-S f/5.6

H-5e6

Nikkor-H f/5.6

S-16

Nikkor-S f/16

H-16

Nikkor-H f/16

I risultati, in attesa di valutazioni più dettaglaite, mi sembrano incontrovertibili: il Nikkor-H è meglio del Nikkor-S! e bene ha fatto la Nippon Kogaku a passare dall’uno all’altro.

Voi che ne pensate? Attendo commenti…soprattutto da Emiliano che mi aveva chiesto il test….

Continua…

Lamelle test Nikkor S 50 + Nikkor H

Eccoci qua. Spiego subito le modalità del test. Gli obiettivi sono focheggiati su 60cm (la minima distanza). I diaframmi impostati sono f/16, f/8, f/4. L’esposizione è ‘a occhio’ (il mio), basandosi sulla regola del 16 e puntando ad una leggera sottoesposizione, circa 1/2 stop. Le fotografie sono scattate in rapida successione, per evitare differenze dovute allo spostarsi del sole. Il ‘metodo’ è abbastanza rigoroso, tuttavia non credo che sia il caso di fare valutazioni sulla resa cromatica dato che il WB era settato su Auto. Per quanto riguarda il contrasto e il variare dell’esposizione delle immagini, credo che i risultati si prestino a qualche osservazione interessante. Ho voluto aggiungere al confronto tra i due Nikkor-S diversamente ‘lamellati’ , un Nikkor-H 50/2, che ha sostituito il Nikkor-S (cinque anni dopo) per delle ragioni che sono qui molto ben spiegate: http://www.nikkor.com/story/0002/ Le approfondirò comunque più avanti: promesso!

Ecco le foto:

1 Nikkor-S-50-INFINITOeffe16

Questa è la scena ben focheggiata ad infinito. Nikon Df 100 iso 1/125 f/16 l’obiettivo è il Nikkor-S 1:2 f=5cm a sei lamelle. La cupola è a circa 600 metri Villa Medici a circa 1,2 Km. Giusto per farvi identificare i soggetti.

2 S-sei-lamelle-effe-16

sei lamelle f/16

5 S-nove-lamelle-effe-16

nove lamelle f/16

8 H-effe-16

H f/16

3 S-sei-lamelle-effe-8

sei lamelle f/8

6 S-nove-lamelle-effe-8

nove lamelle f/8

9 H-effe-8

H f/8

4 S-sei-lamelle-effe-4

sei lamelle f/4

7 S-nove-lamelle-effe-4

nove lamelle f/4

10 H-effe-4

H f/4

 

ovviamente la didascalia si riferisce alla foto che si trova sopra. Chiaro? Le differenze di esposizione sono dovute probabilmente alla precisione del diaframma. Il nove lamelle sembra il più preciso…

 

 

Me le devo ancora studiare bene, però mi sembra che qui le differenze siano effettivamente marcate. Fatemi sapere cosa ne pensate voi (qui sotto). A presto!

 

dimenticavo di dire che -come molti avranno già capito- cliccando sulle foto le si può ingrandire al 100%!

Numero lamelle del diaframma primo test: Nikkor-S 1:2.8 f=3,5cm con nove e sei lamelle

Ho fatto una prima prova confrontando due obiettivi identici come schema ottico ma con lamelle del diaframma differenti. Precisamente due Nikkor-S 1:2.8 f=3,5cm. Questi:

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Come potete vedere dalla prima foto il diaframma è diverso, dalla seconda si vede come si tratti di due obiettivi identici (se si fa eccezione delle condizioni). Gli obiettivi mi sono stati gentilmente prestati dal negozio M&S http://www.msmaterialefotografico.it/

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Questa la scena messa a fuoco correttamente. In questo caso è stato usato un Nikkor Ai 35/2. Serve solo per farvi identificare i soggetti, naturalmente. Le immagini che seguono sono scattate con i due Nikkor-S puntati su soggetti distanti (la cupola si trova a circa 600 metri, l’edificio alle sue spalle -Villa Medici- a più o meno il doppio della distanza) ma con messa fuoco a 30 cm (la minima)  a vari diaframmi f/ 16, f/8 e f/4.

ecco le prime due:

35-sei-lamelle-16

35-nove-lamelle-16

La prima è con sei lamelle, la seconda con nove. Entrambe a f/16. Continuiamo:

35-sei-lamelle-8

35-nove-lamelle-8

Per le foto qui sopra sempre lo stesso ordine: sei lamelle prima, poi nove. f/8. Quelle sotto sono a f/4:

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35-nove-lamelle-4

Guardatele attentamente. Domani le commenterò. Fatemi intanto sapere voi cosa ve ne sembra…qui sotto!

 

Numero di lamelle del diaframma e loro conseguenze 3

Prima di andare avanti, voglio dirvi il perché di questa mia attenzione speciale per i primi quattro Nikkor. E’ meglio farlo, prima che i miei lettori si stufino delle mie elucubrazioni ‘teoriche’. Intanto, sappiate che questo scritto altro non è se non una presentazione di un ‘test’ che ho intenzione di fare (lo farò comunque, tuttavia qualche incoraggiante commento non guasterebbe). Voglio verificare mediante delle prove pratiche quanto il numero di lamelle del diaframma influisca sulla resa di un obiettivo, in particolare sullo ‘sfocato’, ovvero, come taluni amano definirlo, il famoso ‘BOKEH’. Siccome, come dicevo prima, i Nikkor sono un caso straordinario -essendo stati prodotti in due versioni con schema identico, ma con diverso numero di lamelle- ci permettono di valutare su quattro focali diverse, l’effettiva differenza di resa in funzione dell’aumentare -o diminuire, nel nostro caso- del numero delle lamelle.

I criteri di valutazione della resa dello sfocato degli obiettivi sono molto vari, e certamente sono cambiati negli anni. Infatti, si leggono e ascoltano pareri diversi e spesso contrastanti, circa la resa di questo o quell’obiettivo. Dal mio punto di vista, c’è molta confusione, dovuta innanzitutto alla persistenza di perniciosi equivoci, quando non alla più crassa ignoranza.

Il risultato finale di una ripresa fotografica può essere valutato infatti secondo criteri ‘estetici’ -soggettivi o più o meno condivisi- oppure secondo criteri di ‘massima informazione’. Se si considera la fotocamera uno strumento di rilevamento e registrazione di informazioni -come nel caso dell’uso della fotografia per finalità scientifiche- , è evidente che lo sfocato migliore sarà quello che permetterà di discernere meglio i dettagli, consentendo inferenze attendibili sul soggetto ripreso. Mi spiego: se ad esempio scattiamo una fotografia il cui soggetto sia un bosco in autunno per valutare quante foglie degli alberi siano diventate gialle (o rosse), è chiaro che a parità di diaframma più riusciremo a distinguere una foglia dall’altra meglio sarà. Se invece puntiamo ad ottenere dalla ripresa del bosco un’immagine ‘poetica’ e il più possibile gradevole, una resa aspra e nervosa dello sfocato potrà infastidire -quand’anche conducesse ad una maggior informazione-, e sarà preferibile al suo posto una resa morbida e soffusa, ossia ciò che si usa definire ‘BOKEH’. La stessa cosa succederebbe se dovessimo fotografare un prato fiorito – o un singolo fiore, con sullo sfondo altri fiori- per vedere il grado di infezione di qualche parassita, oppure cercassimo un’immagine emozionante e suggestiva del concetto ideale di ‘primavera’. Un’altro esempio possibile, ancora più chiaro, è quello della ripresa di un volto: insomma, un ritratto, cioè uno dei generi fotografici più praticati e amati. Se siamo dei dermatologi o magari dei chirurghi plastici, nel riprendere il viso di una signora cercheremo di esaltare il più possibile la sua ‘epidermide’ con le relative variazioni di colore e condizione, per poter fare una ‘diagnosi’ per un difetto estetico -le rughe, ad esempio- o una ‘patologia’ -magari la ‘couperose’-. Se invece, della suddetta signora siamo mariti o fidanzati, è certo che se ci attenessimo agli stessi criteri ‘medicali’, andremo incontro a risultati estetici deludenti per noi, e probabilmente inaccettabili per lei (persino esiziali per la continuità del rapporto). Gli esempi potrebbero continuare, ma credo che ci siamo capiti.

Con gli esempi precedenti ho voluto ricordare come un eventuale confronto tra la resa dello sfocato di due obiettivi, stabilendo quale sia il migliore, debba  prima di tutto stabilire cosa si vuole ottenere. Anche senza voler fare affermazioni troppo nette, si può dire che spesso la massima resa sul ‘piano di fuoco’ non si accompagna ad una altrettanto buona resa dello sfocato. D’altra parte, bisogna pure mettersi d’accordo su cosa intendiamo con fuori fuoco. Oggi, con il digitale, il concetto di ‘profondità di campo’ è cambiato in funzione della risoluzione del sensore, per ragioni che non qui il caso di ricordare (lo farò in futuro, però), anche se non tutti se ne sono accorti. Per il momento mi servirò per comodità di discorso di un modello di profondità di campo teorico nel quale assumiamo il sensore (o pellicola) come dotato di risoluzione ‘infinita’, avendo dunque come limite solo quello posto dalle prestazioni ottiche dell’obiettivo: in altre parole, dalla qualità della ‘proiezione’ sul piano focale al di là della sua ‘registrazione’. Messa così, la faccenda secondo le leggi dell’ottica è chiara: se il nostro soggetto è tridimensionale la quasi totalità di ciò abbiamo ripreso -ovvero proiettato- è fuori fuoco, essendo il ‘piano di fuoco’ per l’appunto un piano, e non un qualcosa che si estenda in profondità. Però se il grado di sfocatura  è basso, se cioè siamo sotto la soglia del cosiddetto ‘circolo di confusione’, ovvero se siamo oltre la nostra capacità visiva di distinguere i dettagli minimi, anche ciò che è fuori fuoco ‘appare’ a fuoco e rientra quindi nella cosiddetta ‘profondità di campo’ . Quello che mi interessa qui indagare -più qualitativamente che quantitativamente- è però ciò che va dal ‘leggermente fuori fuoco’ -appena avvertibile come tale- al totalmente indistinto. Vorrei ricordare inoltre -en passant- come la profondità di campo degli obiettivi non sia determinata solo dalla focale e dal diaframma impostato, ma anche dallo schema dell’obiettivo. Detto in altri termini, due obiettivi 50mm di tipo diverso possono avere, sebbene settati alla stessa distanza di messa fuoco e a parità di diaframma, profondità di campo diversa. Riporto per curiosità le tabelle di profondità di campo ufficiali Nikon di tre diversi cinquanta:

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Le differenze sono minime ovviamente. Si tratta infatti di obiettivi simili -del tipo cosiddetto ‘doppio gauss- dallo schema quasi simmetrico. Fabbricati dalla stessa casa e in dotazione alla stessa fotocamera. Ciononostante il diverso ‘comportamento’ è ugualmente istruttivo, a mio parere. Come avrò modo spero di dimostrare, nel caso di obiettivi dallo schema di tipo diverso -per esempio un teleobiettivo confrontato con un lungo fuoco di pari focale, oppure un grandangolare simmetrico con un retrofocus- le differenze aumentano in modo vistoso. Per la cronaca le lamelle del diaframma di questi 50mm Nikkor Ais sono: sette per 1.4 e 1.8 e nove per il 50/1.2. E’ interessante osservare come il numero delle lamelle non sia indicato nella descrizione delle caratteristiche dei singoli obiettivi offerta nel catalogo generale Nikon 1992/93, da cui ho tratto la tabella: a dimostrazione della mutata attenzione nei confronti di questa caratteristica.

Continua…