Numero di lamelle del diaframma e loro conseguenze 2

Eccomi dunque a ipotizzare le altre ragioni per la riduzione delle lamelle del diaframma nei primi Nikkor.

Come abbiamo visto l’ortodossia dell’ottica voleva che il diaframma avesse una forma il più possibile circolare. Non è il caso qui di raccontare il perché di questo precetto, fatto sta che fino all’introduzione del diaframma automatico – o, almeno fino al dopoguerra- non c’era nessuna valida ragione per le case costruttrici per non applicarlo nella produzione. Infatti, salvo qualche caso particolare e in obiettivi particolarmente economici, la lamelle erano in numero tale da formare un cerchio. In altri termini, sembrerebbe che la ‘regola’ teorica del ‘cerchio’ venisse applicata senza che nessuno si fosse preso la briga di verificare effettivamente cosa succedesse riducendo il numero delle lamelle. E già, cosa succedeva veramente riducendole?

Per capirci qualcosa dobbiamo però lasciare il Giappone e spostarci di nuovo in Germania, in casa Zeiss, per la precisione. Nel 1943, la Carl Zeiss sviluppò un nuovo metodo di valutazione delle prestazioni degli obiettivi: il famoso ‘MTF’ (modulation transfer function), ormai a tutti noto. Fino ad allora alcuni parametri ottici venivano considerati separatamente, così come l’analisi delle varie aberrazioni. Inoltre, grande importanza veniva data al potere risolvente, che veniva valutato (contando le famose ‘linee per millimetro’) separatamente dal contrasto. Naturalmente, oltre al contrasto, risolvenza  e le varie aberrazioni ecc., venivano valutate anche la ‘vignettatura’ e la ‘planeità di campo’, così come la ‘distorsione lineare’ e l’effettiva ‘trasmissione’ di luce ecc. , dell’obiettivo preso in esame. C’era poi la prova pratica, -sul ‘campo’, fuori dal laboratorio- che per la verità non sempre veniva tenuta nel giusto conto dai progettisti, giacché implicava modalità molto variabili e un giudizio finale del tutto soggettivo. Il test MTF – introdotto dalla Zeiss-  permetteva invece di valutare finalmente ‘tutto insieme’, cioè la prestazione ottica risultante. Questo fatto cambiò molto il criterio di valutazione dando ,ad esempio, una rinnovata importanza al concetto di ‘acutanza’, che passava dall’essere una ‘impressione soggettiva’ all’essere un ‘dato sperimentale’, esprimibile finalmente in una apposita scala numerica. Non va dimenticato in più, che, al volgere degli anni Cinquanta, oltre al cambiamento nella sperimentazione, anche il calcolo teorico in sede di progettazione stava cambiando e  sempre più spesso si cominciava a giovarsi di sistemi computerizzati. Dal 1960 in poi, molte case costruttrici iniziarono ad utilizzare dei programmi di simulazione in modo estensivo. Certo, con i criteri di oggi, non si può certo dire che fossero velocissimi, ma erano tuttavia assai più veloci di quanto non fosse il calcolo fatto, per così dire, a mano. Torniamo alle lamelle, però.

Il ‘combinato disposto’ delle nuove possibilità di verifica sperimentale con la ricerca di una soluzione ai problemi insorti con l’introduzione del diaframma automatico, fu che il ‘dogma’ del diaframma circolare iniziò ad essere messo in discussione. Così si considerò che dovendo scegliere, almeno in alcuni casi, tra il rischio del diaframma ‘pigro’ o addirittura bloccato, e un trascurabile scadimento qualitativo, non c’erano dubbi: era meglio ridurre il numero delle lamelle! Anzi, prova che ti riprova, si vide addirittura che alcuni schemi ottici dalla riduzione se ne avvantaggiavano: ecco spiegati gli strani casi del 21/3.4 super angulon (losanga, quattro lati), e del Planar 85/1.4 (triangolo!) ce ne sono altri di ‘casi’ che vi risparmio, per il momento. Sembrerebbe a questo punto tutto chiaro, no? Non esattamente. Infatti, come spiegare la corsa attuale -anche per gli obiettivi per Reflex-  all’aumento del numero di lamelle – che ormai sono in più reclamizzate come ‘rounded’- per ricostruire il cerchio perduto? Anche in questo caso c’è una spiegazione, naturalmente. Al più presto vi darò la mia.

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Immagini di un mondo perduto

hcb

Il grande HCB con una Leica M6, dotata del ‘vecchio’ e fedele summicron 50 rientrante. Osservate la cinghia attorcigliata a mo’ di ‘teffilin’: tipica degli ‘street photographers’…

Smith-con-M3

Un giovane W. Eugene Smith, mentre prova la nuovissima Leica M3. Sarà stato il ’54? E’ dunque una ‘doppio colpo’?
notare il summicron 50 (rientrante) con paraluce ‘alieno’ (sembra un WALZ), però così cromato è molto chic!